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Enozioni intervista Norbert Niederkofler, chef del ristorante ‘St. Hubertus’ all’Hotel Rosa Alpina in Alta Badia

Norbert Niederkofler, chef del ristorante 3 stelle Michelin St. Hubertus’ all’Hotel Rosa Alpina di San Cassiano in Badia, ci racconta perché è così orgoglioso di essere italiano, come crede che il mondo cambierà dopo la pandemia Covid-19 e perché essere fedele al suo DNA e ai suoi valori è il segreto del suo successo.

L’intervista:

Il mondo intero è coinvolto da questa pandemia globale. Prima di tutto, che messaggio sente di dare ai suoi clienti e soprattutto ai suoi colleghi?
Che noi vogliamo andare avanti, soprattutto perché crediamo nel progetto Cook the Mountain, la mia filosofia in cucina e nella vita. Oggi più che mai ci fa vedere quanto è importante avere una risorsa come i produttori locali, che conosciamo personalmente e dei quali ci possiamo fidare.
Di credere nella forza italiana e in particolare montana, come la nostra qui in Alto Adige. Di rialzarci e a ripartire.

Si dice che dietro ogni problema ci sia sempre un’opportunità; questa pausa forzata non è facile da affrontare ma potrebbe averle anche dato modo di riscoprire il valore del tempo e l’occasione di poter studiare e sperimentare con maggiore calma. Cosa, di positivo, pensa uscirà da questa situazione?
Questa è una frase vera, anche se all’inizio si fa fatica a trovare qualcosa di positivo specialmente in questa situazione nella quale è coinvolto tutto il mondo. Ma forse è proprio per questo che tutto il mondo è coinvolto. Forse questo era l’unico modo per farci riscoprire i valori veri, per ripensare il nostro modo frenetico di vivere.
Stiamo vedendo che la natura si sta riprendendo i suoi spazi e vediamo delle cose che forse non abbiamo mai visto, come i pesci nei canali di Venezia o nel porto di Cagliari. Dobbiamo impostare il futuro diversamente per riuscire, forse, a salvaguardare il mondo dei nostri figli.

Come si sta preparando alla ripresa dopo i dolorosi sacrifici e lo stop forzato in questo periodo di emergenza?
Con un sacco di domande, molti pensieri sui bambini, che sono stati privati della loro libertà di giocare con gli amici e sono dovuti rimanere a casa a studiare senza poter andare a scuola o a trovare gli amici. E anche sui sacrifici che tutti noi dovremo fare in futuro per far ripartire il nostro paese e il mondo intero.

L’emergenza Covid-19 sta riscrivendo le regole dell’enogastronomia. Come immagina il futuro della ristorazione quando tutto sarà finito? Dobbiamo capire ancora le regole che ci verranno imposte nella gestione dei nostri ristoranti. Sicuramente tante cose che per noi sono “normali”, di routine, non le potremo più gestire nel modo che vogliamo e sicuramente si dovrà ripensare all’impostazione dell’ospitalità. La vicinanza al cliente per me era ed è molto importante.

Qualcuno sostiene che il “food delivery” rappresenti un valido supporto ai ristoratori… la teoria può essere applicata anche alla cucina d’autore?
Sicuramente in alcune situazioni sarà una soluzione. Spero solo che si trovino delle soluzioni anche per i rifiuti di plastica che si produrranno. I rifiuti in generale saranno un problema. Il food delivery in una grande città si può fare, ma ci sono un sacco di costi da sostenere e se non hai una base solida la vedo molto difficile.

Secondo lei quali saranno i trends che influenzeranno la ristorazione del futuro?
Intanto dobbiamo vedere quando torneremo alla normalità e potremo garantire la sicurezza di tutti, cioè quando si troverà un vaccino o una cura dal virus. I trend saranno proprio la riscoperta dei valori veri, in tutti sensi. Conoscere i produttori locali dei quali poter avere fiducia, quelli che stanno dietro al prodotto, che ti riforniscono con vie corte locali e stagionali e in totale trasparenza.

Se fosse l’ispettore di una guida enogastronomica dopo il coronavirus, quali criteri di valutazione prenderebbe in considerazione?
Penso che anche questo sarà un capitolo da riscrivere. Ma con dei veri valori e con onestà si può andare avanti. Penso che il tempo delle chiacchiere sia finito, ora contano i fatti.

Il fine-dining ritornerà o rinascerà?
Il fine dining rinascerà sicuramente. Si deve vedere in quale forma e maniera. C’è sempre qualcosa da festeggiare e momenti belli che abbiamo bisogno di regalarci. Forse faremo meno viaggi di uno o due giorni in giro per il mondo per fare una cena e resteremo di più nella nostra zona. Magari quando si farà un viaggio più lungo con la propria famiglia e ci sarà l’occasione si frequenterà anche un locale famoso del posto. La giuda Michelin nasce un po’ in questo modo.

Parliamo di cose positive: qual è stata la sua ispirazione nel creare il suo attuale menu degustazione?
Noi il menu lo costruiamo in una maniera diversa. Vediamo quello che la natura ci dà in un determinato periodo dell’anno e in base a questo creiamo il menu. Se un prodotto non lo troviamo, non lo usiamo. È la natura che decide per noi.

Ci racconti del suo piatto del cuore, il “signature dish” che più di tutti la identifica, cosa lo rende unico e se lo rivisiterebbe in futuro.
Anche questo dipende dalla stagione e dalla natura. C’è un “signature dish” per ogni periodo dell’anno e stato d’animo: gli gnocchi di rapa rossa, il risotto con l’aglio orsino, l’orzotto con il burro di capra, il salmerino con la crema bruciata e il rafano.

Sostenibilità, un argomento sempre più di tendenza ultimamente. Quale pensa sarà l’impatto post-Covid-19 sui ristoranti fine-dining in fatto di sostenibilità?
Come detto prima c’è tanto lavoro da fare sui rifiuti, basti pensare a tutte le protezioni monouso che stiamo usando. Spero si trovi la soluzione anche per questo.

Il suo ristorante ha un posto speciale nel suo cuore; ci racconti alcuni momenti che ricorda ancora quando ha aperto e quali sono state le sue maggiori sfide quando ha iniziato.
Il St. Hubertus, in 26 anni che ci lavoro, mi ha fatto conoscere tante persone e ho avuto la possibilità di vivere tantissimi momenti speciali e soddisfazioni come anche delle delusioni che mi hanno fatto crescere.
AlpiNN, invece, è proprio l’essenza di Cook the Mountain. Situato a 2.275 m, in un posto bellissimo, ma con tutti i problemi e le difficoltà che ti porta la montagna. Ma la combinazione di design – artisti – artigiani – e l’uso di soli prodotti locali ha realizzato uno dei sogni della mia vita.

Con la sua cucina, lei è interprete e testimonial di una filosofia che va oltre il semplice cibo. Ha creato un universo e un DNA potente e riconoscibile. Quali pensa siano i fondamentali del successo?Sicuramente un punto forte di Cook the Mountain è il rigore nella gestione di tutto, dalla cucina al modo di vivere, dal design alla comunicazione. Forse è uno dei concetti più innovativi di questi ultimi 10 anni. Senza copiare, ma solo vedendo e rispettando i ritmi e i valori della natura.

Se ci fosse una cosa di sé stesso che vorrebbe cambiare quale sarebbe?
Sono molto felice di come sono, con i miei difetti e i miei punti forti. Ero e sono ancora oggi una persona curiosa e ho sempre voglia di cambiare, di mettere in discussione. Per questo non sono una persona facile.

Qual è la sua frase o il suo motto preferito?
“Non c’è niente di più vecchio di quello che abbiamo fatto ieri”.

Cosa la mette di buon umore? Ha qualche abitudine, hobby o ‘rituale’ a cui ricorre per ricaricarsi di positive vibes?
Ho avuto l’occasione di andare a letto e di alzarmi per 9 settimane con la mia famiglia e ho potuto vivere mia moglie e i miei due figli in un modo che non ho mai avuto la possibilità di provare prima d’ora. Per questo sono anche molto grato di questo periodo. Mi dà tanta energia positiva per affrontare il futuro.

Se non avesse fatto lo chef, che cosa le sarebbe piaciuto diventare?
L’architetto. Per me la cucina – a parte il cibo, i produttori, gli allevatori – era ed è soprattutto il luogo caldo, coinvolgente, dove tutti sono seduti attorno a un tavolo per condividere il cibo, dove si può reinventare il mondo. Questa possibilità ce l’hai anche con l’architettura, creando dei luoghi unici e calorosi. Anche nella semplicità, come il senso di protezione che una Stube dell’Alto Adige ti dà.

Come definirebbe il Made in Italy in tre parole?
L’Italia è il paese più bello del mondo. Spero che questo virus ci aiuti a riscoprire e a valorizzare le bellissime cose che abbiamo in Italia. Tra arte, cibo, vino, moda, cultura, ospitalità… forse non l’abbiamo più considerata nel modo che merita, forse abbiamo dato tante cose per scontate e non abbiamo più visitato le nostre meraviglie. Le montagne, il mare, le coste, le città, l’arte, Venezia, le Dolomiti e tanti altri paesaggi erano e sono ancora lì, ma forse non li abbiamo più ammirati nel modo giusto.

© Norbert Niederkofler

HOTEL & SPA ROSA ALPINA *****
STRADA MICURÁ DE RÜ, 20
39036 SAN CASSIANO IN BADIA (BZ)

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