Giancarlo Morelli, chef del ristorante stellato Pomiroeu nel cuore della Brianza a Seregno, del ristorante gourmet Morelli e del mixology food bar Bulk a Milano, ci racconta perché è così orgoglioso di essere italiano, come crede che il mondo cambierà dopo la pandemia Covid-19 e perché essere fedele al suo DNA e ai suoi valori è il segreto del suo successo.
Il mondo intero è coinvolto da questa pandemia globale. Prima di tutto, che messaggio sente di dare ai suoi clienti e soprattutto ai suoi colleghi?
Ai miei clienti vorrei dire che non vedo l’ora di vederli nei miei ristoranti, che ritengo essere casa mia! Sarò felice di accoglierli quanto prima ma riflettendo a lungo su come sarà meglio comportarsi per me, i miei dipendenti e soprattutto per loro.
Ai miei colleghi invito a fare altrettanto, so quanto sia difficile ritornare sul mercato ma non possiamo permetterci di fare errori e di non pensare alla salute dei nostri ospiti. Dobbiamo rimanere uniti e continuare a lavorare sul punto chiave del servizio che mettiamo a disposizione per la popolazione: da sempre il ristorante è luogo che esprime una percezione positiva nel cervello dei nostri clienti in quanto associato a svago, festeggiamenti, serate speciali. Dovremo riuscire ad essere abili a continuare a trasmettere questo, nonostante le misure di sicurezza, il ristorante deve riuscire a mantenere la sua positività.
Si dice che dietro ogni problema ci sia sempre un’opportunità; questa pausa forzata non è facile da affrontare ma potrebbe averle anche dato modo di riscoprire il valore del tempo e l’occasione di poter studiare e sperimentare con maggiore calma. Cosa, di positivo, pensa uscirà da questa situazione?
Abbiamo perso tanto in questo periodo ma abbiamo avuto il tempo per riflettere e per cercare di ripartire alla riscoperta delle cose semplici. Abbiamo inseguito mode e avolte siamo stati eccessivi. Ecco questo è il momento di adattarsi a questo nuovo momento ma ripartendo da ciò che è davvero necessario, è l’opportunità per trovare una strada da percorrere in maniera più umana e sostenibile.
Come si sta preparando alla ripresa dopo i dolorosi sacrifici e lo stop forzato in questo periodo di emergenza?
Nei miei locali di Milano e Seregno ci stiamo organizzando per ripartire quanto prima. Ovviamente includeremo anche il delivery nelle nostre attività, ma io sono un ristoratore e non posso pensare di non aprire le porte e rivedere i miei clienti nei ristoranti. Gli spazi ci sono, lavoreremo con la massima attenzione sicurezza e spero presto di presentarvi anche qualche novità!
In Sardegna al Phi Beach siamo al lavoro per essere operativi dall’estate, in un posto così magico, tra le rocce di Baja Sardinia, non vediamo l’ora di rivedere amici e clienti.
L’emergenza Covid-19 sta riscrivendo le regole dell’enogastronomia. Come immagina il futuro della ristorazione quando tutto sarà finito?
Credo che torneremo ad una sorta di normalità prima o poi, però potrebbe essere l’occasione per i nostri clienti per uscire dagli schemi degli orari più gettonati per pranzo e cena e ricercare di essere più scaglionati, come in America, cercando di evitare quindi assembramenti. A me piacerebbe l’idea di una cucina sempre aperta senza costrizione di orari.
Qualcuno sostiene che il “food delivery” rappresenti un valido supporto ai ristoratori… la teoria può essere applicata anche alla cucina d’autore?
Penso di sì anche se può essere solo accessoria al nostro servizio. Io da anni propongo il delivery a Natale e Capodanno, è un servizio che funziona, ci sono clienti storici che ci ricontattano tutti gli anni. Ora dovrà essere rivisto per adattarsi alla situazione, però come ho detto non immagino il mio ristorante e porte chiuse stretto al servizio del delivery.
Se fosse l’ispettore di una guida enogastronomica dopo il coronavirus, quali criteri di valutazione prenderebbe in considerazione?
Lascio volentieri il compito a loro perché in questo scenario non saprei proprio quali siano i criteri adatti. Credo anzi che questi vengano un po’ meno dato che l’obiettivo sia salvare le realtà economiche.
Il fine-dining ritornerà o rinascerà?
Rinascerà, ma è obbligato a questo se vuole continuare ad esistere dopo questa forte crisi.
Parliamo di cose positive: qual è stata la sua ispirazione nel creare il suo attuale menu degustazione?
In questo momento mi sento come un artista che esprime le attitudini più profonde e più tristi, quindi ho dovuto pensare ad un momento felice per redigere il menù quinsi alla gioia della convivialità casalinga.
Ci racconti del suo piatto del cuore, il “signature dish” che più di tutti la identifica, cosa lo rende unico e se lo rivisiterebbe in futuro.
“Polenta e coniglio” di mia madre, la nonna Rosa. Non c’è verso di poterlo cambiare neanche in un futuro su Marte, perché se è il mio piatto del cuore e quando lo assaggio, voglio sentire gli stessi sapori che mi riportano alle emozioni della mia infanzia.
Sostenibilità, un argomento sempre più di tendenza ultimamente. Quale pensa sarà l’impatto post-Covid-19 sui ristoranti fine-dining in fatto di sostenibilità?
Sono anni che ne parliamo, assieme a Norbert nel nostro progetto Care’s. Un ritorno alla semplicità significa anche questo. Ci sono alimenti che abbiamo demonizzato e che invece in questo periodo sono stati riscoperti e rivalutati. Le persone sono certo che se ne ricorderanno di questo e spero agiscano con più umanità ed evitino finalmente gli sprechi in cucina, nell’energia e i tutti quei fattori che compongono la nostra quotidianità.
Il suo ristorante ha un posto speciale nel suo cuore; ci racconti alcuni momenti che ricorda ancora quando ha aperto e quali sono state le sue maggiori sfide quando ha iniziato.
Le sfide più importanti sono state soprattutto quelle di riuscire a pagare i debiti con le banche per mantenere in piedi le attività, sfide che ancora oggi ci impegnano, per alcuni di noi.
Il ristorante è come un figlio, sono quindi i momenti di crescita e di svolta nel percorso che sono i più significativi, anche se poi lasciano posto ai ricordi di Giancarlo uomo, e quindi il momento ad esempio in cui il 5 maggio del ’95 ero a tavola con dei miei clienti al Pomiroeu e il mio maitre si avvicina per informarmi di una telefonata dall’ospedale, mio figlio Giacomo stava nascendo. Ricordo tutto, i piatti sul tavolo, i commensali, tutto!
Con la sua cucina, lei è interprete e testimonial di una filosofia che va oltre il semplice cibo. Ha creato un universo e un DNA potente e riconoscibile. Quali pensa siano i fondamentali del successo?
Credo che la mia cucina sia sempre rimasta vera e autentica. Non si è fatta influenzare dalle mode ma non per questo non si è evoluta.
La mia mission di educare il cliente è servita anche a questo, a farmi indirizzare da loro nel caso in cui si andasse oltre. Continuiamo a studiare, sperimentare e ricerchiamo costantemente dei miglioramenti, ma ci sono piatti che non posso permettermi di dimenticare e che i miei clienti troveranno sempre nei miei ristoranti.
Se ci fosse una cosa di sé stesso che vorrebbe cambiare quale sarebbe?
La statura. (sorride)
Qual è la sua frase o il suo motto preferito?
Rispetto.
Cosa ti mette di buon umore? Hai delle abitudini, degli hobby o dei rituali a cui ricorri per fare il pieno di positive vibes?
Sicuramente un pomeriggio sui campi da golf con i miei figli e l’energia positiva che si respira al Phi Beach di Baja Sardinia durante il tramonto, un momento magico che attenua tutti i brutti pensieri.
Se non avesse fatto lo chef, che cosa le sarebbe piaciuto diventare?
Il contadino.
Come definirebbe il Made in Italy in tre parole?
Autentico, di qualità e generoso, perché è indirizzato a tutti, abbraccia tutti, anche in un momento difficile come questo.
Pomiroeu Giancarlo Morelli
Via Garibaldi, 37
20831 Seregno (MB)
Telephone +39 0362.237973